mercoledì 20 aprile 2011

Parlamento e Costituzione

L'ultima proposta di riforma costituzionale del PDL ha per oggetto l'articolo 1. E stavolta non per togliere il riferimento al lavoro e metterne uno generico alla libertà come era avvenuto in passato, ma per rafforzare, a detta degli estensori, la centralità del Parlamento.

Il testo di modifica recita infatti: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e sulla centralità del Parlamento quale titolare supremo della rappresentanza politica della volontà popolare espressa mediante procedimento elettorale».

La difesa della centralità del Parlamento come carattere fondamentale della nostra forma di governo è tema serio e importante che meriterebbe riflessione e argomentazioni ben più serie rispetto a quelle operate dal primo firmatario di questo progetto di legge. Se infatti è indubbio il carattere fortemente parlamentare che i nostri Costituenti hanno voluto dare alla Repubblica, è altrettanto vero che in nessun caso essa ha operato una gerarchizzazione dei poteri e delle Istituzioni. Anzi tutto il sistema punta a costruire una Repubblica democratica rappresentativa fondata su una larga e continua partecipazione popolare attraverso l'articolazione istituzionale e il complesso di organismi partecipativi (associazioni, sindacati, partiti) che hanno non a caso un riconoscimento costituzionale. Nella Costituzione poi il Parlamento non è il luogo dove si misura a colpi di votazione, la maggioranza frutto del voto popolare, ma il luogo in cui tutti i parlamentari, nelle varie articolazioni politiche, di maggioranza e di opposizione, dovrebbero concorrere al bene del Paese. Cosa per altro resa più forte dal fatto che quando i Costituenti scrivevano il sistema elettorale era quello proporzionale e quindi il Parlamento era davvero "specchio del Paese".

Resta poi davvero incomprensibile capire come una simile proposta possa venire dall'esponente di una forza politica che non manca occasione per agire in pieno disprezzo del Parlamento, ricorrendo sistematicamente al voto di fiducia, operando attraverso un abuso quotidiano del decreto legge, riducendo i parlamentari a dei votanti a comando o peggio dandosi alla loro compravendita.

Se infatti oggi ha un senso, e io credo ce l'abbia, reclamare la centralità del Parlamento lo ha non certo in relazione alla magistratura o al Presidente della Repubblica o alla Corte Costituzionale, quanto piuttosto al modello plebiscitario proposto dal Presidente del Consiglio (che non a caso si è più volte lamentato del Parlamento come di un fastidioso intralcio alla sua politica del fare) e dal suo Governo che riduce sempre più non solo l'Italia ma il Parlamento appunto, a pubblico plaudente delle sue gesta e delle sue dichiarazioni.

Se vuole difendere la centralità del Parlamento quindi l'on Ceroni farebbe bene a rivolgersi al suo capo e a rifiutarsi per esempio di convertire in legge uno dei suoi decreti anzichè proporre strampalate modifiche costituzionali.


Serena Colonna


giovedì 7 aprile 2011

NO PASARAN

Il 29 marzo alla chetichella è stato depositato al Senato un Disegno di Legge di riforma costituzionale n. 2651 “Abrogazione della XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione”, di quella disposizione cioè che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
Secondo gli estensori di questo Ddl infatti la libertà dei cittadini di associarsi in partiti e movimenti, prevista dalla stessa Costituzione, non può avere nessun limite, salvo il mancato rispetto del metodo democratico.
La legge del 20 giugno 1952, n. 645 “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione”, più nota come legge Scelba (che se passasse questo provvedimento dunque verrebbe a cadere) stabilisce però che c’è riorganizzazione del partito fascista proprio quando nei fatti o nelle idee non si accetti il metodo democratico e cioè “quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”.
E poi perché mai un movimento politico che intenda rispettare il metodo democratico e la Costituzione repubblicana e antifascista (che nasce in aperta opposizione ai principi che avevano ispirato il regime mussoliniano nel Ventennio) dovrebbe decidere di richiamarsi esplicitamente al partito fascista? Appare del tutto illogico.
E allora viene da chiedersi: qual è il senso vero di una simile proposta?
Indubitabilmente quello di colpire il cuore della Costituzione, ciò che ne costituisce il sostrato storico e ideale: l’Antifascismo appunto.
Ecco il punto dunque: indebolire la Costituzione, renderla inefficace, eliminando un anticorpo fondamentale della nostra Democrazia contro le derive autoritarie.
Si potrebbe obbiettare che questa norma è stata applicata di rado e molto spesso è stata invece disattesa ed aggirata: il processo mai svolto contro il Movimento sociale italiano e contro Almirante, o più recentemente i movimenti politici di Forza Nuova e Casa Pound che continuano ad operare indisturbati.
Ma il fatto che uno strumento sia stato poco usato o vi si sia ricorsi solo in pochi casi, privilegiando dunque un atteggiamento non repressivo, è semmai argomentazione per mantenere quella disposizione non per toglierla, venendo essa a costituire l’estremo limite alla libertà di associazione e, con l’apologia del fascismo, contenuta nella legge Scelba che ne è diretta conseguenza, della libertà di manifestazione del pensiero.
Senza quella disposizione transitoria finale la nostra Repubblica non sarebbe infatti più democratica e tollerante ma solo più fragile e indifesa di fronte alle derive culturali autoritarie e razziste che la attraversano.
Ma forse è proprio quello che vogliono gli estensori con in testa il primo firmatario Cristiano De Eccher, oggi senatore del Pdl e negli anni ’70 responsabile triveneto di Avanguardia Nazionale, il movimento fondato da Stefano Delle Chiaie, coinvolto nelle indagine per la strage di Piazza Fontana e in quella di Bologna.